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Studio Legale fondato
dall’Avv. Bassano Baroni

Scuole dell'infanzia paritarie e convenzioni con i comuni

Si rende spesso necessario ricordare principi costituzionali e norme che non solo giustificano detti contributi ma anche li delineano come necessari, a fronte di recenti situazioni che vedono alcuni comuni ritenere non più ammissibile detto intervento o a ridurlo, sia per posizioni eteroideologiche sia invocando normative non conferenti al caso. 

Occorre anzitutto partire dalla nostra Costituzione, che, all’art. 118, ultimo comma, riconosce e sancisce il principio di sussidiarietà, che non è una mero auspicio ma un obbligo: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Non sfugge il verno all’indicativo (“favoriscono”) che delinea un vero e proprio obbligo per gli enti pubblici, compreso i Comuni, di sostenere le autonome iniziative cittadini di privati e delle formazioni sociali in cui sono organizzati, che per lo svolgimento sussidiario di attività di interesse generale, ossia di rilievo pubblico. 

Sono pacificamente ricompresi, tra i soggetti della sussidiarietà, tutti gli enti non profit del terzo settore, compreso quelli che svolgono attività educativa e di istruzione. Il Codice del Terzo Settore, che attua l’art. 118, u.c., Cost., riconosce infatti che anche l’educazione e l’istruzione rientrano nell’ambito delle “attività di interesse generale” (art. 5, c. 1, lett. d, D.lgs. n. 117/2017).

Una Fondazione o un’associazione (normalmente con personalità giuridica se è ex Ipab) o un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (parrocchia o ente religioso) che gestisce una scuola dell’infanzia svolge pertanto “attività di interesse generale” e, secondo il precetto costituzionale recato dall’art. 118, uc., Cost. il Comune deve “favorirla”.

La disciplina del Terzo Settore, con riferimento all’attività di istruzione, conferma e sancisce un assetto ordinamentale preesistente e tuttora vigente, disciplinato dalla Legge 10/3/2000 n. 62 sulla parità scolastica, in cui gli enti non profit che gestiscono una scuola dell’infanzia svolgono un’attività di interesse generale, ossia di rilevanza pubblica (art. 1, comma 3, Legge n. 62/2000, riconosce esplicitamente che le scuole paritarie svolgono “un servizio pubblico”). Non occorre dunque attendere la compiuta attuazione della disciplina del Codice del Terzo Settore e l’iscrizione nel RUNTS per tale riconoscimento.

Come noto, in Italia vige il “Sistema Nazionale di Istruzione”, che è costituito dalle scuole statali e dalle scuole non statali, queste ultime possono essere gestite da enti privati o dagli enti locali, ottenendo la parità, ai sensi della citata Legge 10/3/2000 n. 62.

Le scuole non statali paritarie sono dunque inserite nell’unico “Sistema Nazionale di Istruzione”, alla pari con le scuole statali.

Ciò detto, il tema dei sostegni economici pubblici alle scuola paritarie è, come si sa, dibattuto e contrastato. Si è creata nella prassi una sostanziale disapplicazione della legge sulla parità, dando vita a una inaccettabile situazione in cui le scuole paritarie hanno eguali doveri delle scuole statali, ma diversi diritti, e non solo in riferimento agli enti gestori ma soprattutto agli alunni e alle loro famiglie, con ciò violando non solo il ricordato principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, u.c., Cost. (che si fonda su quello di pluralismo sociale, ex art. 2 Cost.) ma anche la libertà di educazione e istruzione, ex art. 30, comma 1, e 33, commi 3 e 4, Cost.,  e il diritto allo studio, ex art. 34 Cost.

In particolare, occorre sempre ricordare che l’art. 33, c. 4, Cost., stabilisce che “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”,

La previsione del “senza oneri dello stato”, come ormai comunemente riconosciuto, riguarda solo il momento costitutivo della scuola non statale, che non può essere realizzata con oneri statali. Ma la gestione, ossia l’erogazione del servizio di istruzione, può essere sostenuto dallo Stato e dagli enti pubblici, proprio in forza della richiamata norma costituzionale e della legge n. 62/2000 sulla parità.

L’ordinamento prevede interventi economici di sostegno pubblico, da parte del Ministero dell’istruzione-Uffici Scolastici Regionali e provinciali e delle Regioni.

Accanto a tali interventi, spesso insufficienti, e a loro integrazione, si sono sempre posti anche i contributi riconosciuti dai Comuni, mediante convenzione, alle scuole dell’infanzia non statali paritarie, gestite da enti non profit o da parrocchie ed enti religiosi.

In Lombardia, tale intervento ha trovato per molto tempo una esplicita disciplina, recata dall’art. 5 della LR n. 31/1980 , il quale disponeva che per garantire il diritto allo studio e i relativi servizi nelle scuole materne autonome “sono di norma stipulate con gli enti gestori convenzioni”.

A questa legge, si è affiancata la L.R. 11/2/1999 n. 8 (Interventi regionali a sostegno del funzionamento delle scuole materne autonome), che prevedeva contributi regionali, assegnati per il tramite dei Comuni, previa convenzione, secondo lo schema tipo approvato dalla Regione.

Da rilevare che la L.R. n. 8/1999 giustifica il contributo, come era nella legge n. 31/1980, con la finalità di garantire il funzionamento delle scuole materne autonome, per garantire “il diritto alla libertà di educazione nel quadro dei principi sanciti dagli artt. 3, 33 e 34 della Costituzione e dall'art. 3 del proprio Statuto” (art. 1, c. 1).

Sempre l’art. 1, della L.R. n. 8/1999, al comma 3, ha precisato che “Tale intervento finanziario è distinto ed integrativo rispetto a quello comunale, a quello per il diritto allo studio e a qualsiasi altra contribuzione prevista dalla normativa statale, regionale o da convenzione, così da integrare fino alla copertura del costo medio complessivo pro-sezione delle corrispondenti scuole statali presenti in Lombardia”.

Il sistema dunque confermava il ruolo dei Comuni e la possibilità per gli stessi di continuare a riconoscere alle scuole materne autonome (ora scuole dell’infanzia paritarie)  contributi, con la novità di estenderlo non solo a quelli finalizzati alla garanzia del diritto allo studio propriamente detto (art. 5 L.r. n. 31/1980, che restava in vigore insieme alla L.r. n. 8/1999), ma anche a quelli volti a sostenere il funzionamento delle scuole materne autonome, fino alla copertura, garantita dall’integrazione regionale, del costo medio complessivo pro-sezione delle corrispondenti scuole statali.

La L.r. n. 8/1999 è stata abrogata dall’art. 32 delle L.R. 6/8/2007 n. 19.

Il legislatore regionale si è accorto quasi subito dell’ingiustificata abrogazione, intervenendo, con l’art. 1, L.R. 31/3/2008 n. 6, a introdurre nella L.R. n. 19/2007 l’art. 7 ter, il quale dispone che “ La Regione, in conformità agli indirizzi del Consiglio regionale, riconoscendo la funzione sociale delle scuole dell'infanzia non statali e non comunali, senza fini di lucro, ne sostiene l'attività mediante un proprio intervento finanziario integrativo rispetto a quello comunale e a qualsiasi altra forma di contribuzione prevista dalla normativa statale, regionale o da convenzione, al fine di contenere le rette a carico delle famiglie”.

Si riconferma dunque la competenza dei Comuni a erogare contributi anche a titolo di concorrenza al funzionamento delle scuole dell’infanzia non statali non profit, attesa la riconosciuta funzione sociale, “al fine di contenere le rette a carico delle famiglie”.

Fino al 2017, il Comune godeva di due fonti legislative per erogare il contributo alle scuole dell’infanzia non statali paritarie non profit:

  1. a) l’art. 7 ter L.R. n. 19/2007, per “sostenere l’attività” delle scuole dell’infanzia non statali senza scopo di lucro, “al fine di contenere le rette a carico delle famiglie”;
  2. b) l’art. 5 della L.R. n. 31/1980, per garantire anche alle scuole autonome gli interventi di diritto allo studio.

L'art. 33, comma 1, L.R. 26 maggio 2017, n. 15 ha abrogato la L.r. n. 31/1980.

Continua ad applicarsi l’art. 7ter L.r. n. 19/2007, che riconosce la competenza comunale a intervenire a sostenere le attività delle scuole dell’infanzia non statali senza scopo di lucro, al fine di contenere le rette a carico delle famiglie.

Ma resta la competenza generale dei Comuni nell’ambito del diritto allo studio,  prevista dalla L.R. n. 3/2008 (“Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e socio-sanitario”) e specificamente prevista anche dalla L.R. n. 19/2007, la quale, all’art. 7, c. 5, attribuisce ai comuni – in attuazione delle rispettive competenze programmatorie e in coerenza agli indirizzi definiti da Regione - l’organizzazione della rete scolastica di primo ciclo e la definizione del piano dei servizi, espressione delle specifiche esigenze educative e formative del territorio e della connotazione territoriale della domanda.

Il Comune dunque può sempre intervenire a sostenere la scuola dell’infanzia paritaria non solo per contenere le rette a carico delle famiglie (art. 7 ter della L.R. n. 19/2007) ma anche nel contesto dei piani e dei servizi per il diritto allo studio (art. 7, comma 5, della L.R. n. 19/2017), e lo può fare utilizzando anche lo strumento convenzionale.

E’ la stessa Regione Lombardia a chiarire, con Nota dirigenziale 21/11/2018 prot. E1.2018. 0534582, avente a oggetto “Indicazioni e chiarimenti sulla programmazione e gestione dei servizi inerenti all’esercizio del diritto allo studio” che allego, che, in applicazione dell’art. 7ter L.r. n. 19/2007, “al fine di valorizzare e sostenere i servizi di interesse generale erogati dalle scuole dell’infanzia autonome e garantire nelle stesse l’attuazione dei servizi per il diritto allo studio, mediante il contenimento delle rette scolastiche a carico delle famiglie, si ritiene che i rapporti tra i comuni e le istituzioni scolastiche paritarie, come avveniva in passato, siano regolati da apposite convenzioni, assumendo come riferimento normativo la predetta L.R. n. 19/2007” 

Lo strumento convenzionale è richiamato dall’art. 7ter L.R. n. 19/2007 ma è applicabile anche in forza della norma generale sul procedimento di cui all’art. 11 Legge n. 241/1990, che prevede la possibilità di stipulare con il privato interessato accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo, nel nostro caso il provvedimento di erogazione del contributo, che può trovare la sua fonte nella convenzione.

La convenzione non è un atto negoziale a prestazioni corrispettive, quindi non è soggetto al D. Lgs. n. 50/2016 (codice dei contratti pubblici): non si ha un affidamento in appalto o concessione del servizio di scuola dell’infanzia all’ente gestore di scuola paritaria, perché la scuola è una sua attività automa (di interesse generale ma resta autonoma), che svolge nel Sistema Nazionale di Istruzione, in quanto paritaria, e con rilevanza sociale, in quanto svolge attività di interesse generale nell’ambito del principio costituzionale di sussidiarietà.

Ne deriva che la convenzione non è sottoscritta previo espletamento di procedure di gara. Non è neppure atto che segue a una coprogettazione con il Comune ai sensi dell’art. 55 D.lgs. 117/2017, perché l’attività scolastica è attività autonoma dell’Ente.  Inoltre, l’erogazione comunale è un contributo non un prezzo, un corrispettivo, a fronte dell’erogazione di un servizio affidato dal Comune. Per tale ragione sono del tutto illegittimi provvedimenti comunali che hanno ridotto il contributo nel periodo di sospensione dell’attività didattica in presenza disposta dalle Autorità nell’emergenza pandemica Covid-19: anzitutto l’attività educativa è continuata, ancorchè in DAD, e poi il contributo non remunera un servizio ma ha la finalità di sostenere l’Ente gestore, con la finalità di ridurne i costi e di contenere le rette delle famiglie, così cercando di attuare, anche dal punto di vista economico, un’effettiva parità    

In conclusione, non c’è nessun impedimento, ostacolo giuridico, norma contraria, che impedisce di riconoscere, mediante convenzione, contributi alle scuole dell’infanzia paritarie gestite, senza scopo di lucro, da enti del terzo settore o da parrocchie e istituti religiosi.

Anzi, sussiste al contrario un obbligo discendente dalle citate norme costituzionali e legislative di garantire il diritto allo studio e il funzionamento dell’attività, per rendere effettiva la parità scolastica.

Di più. Deve anche considerarsi che ora i Comuni, senza sostituire i contributi riconosciuti in forza della legge sulla parità, e in Lombardia, in forza dell’art. 7 ter L.r. n. 19/2007 (norme analoghe sono previste da altre Regioni), può erogare, per il tramite dei bandi emessi annualmente da Regione Lombardia, i contributi dei fondi per il sistema integrato educativo 0-6 anni, istituito con D.lgs. 13/4/2017 n. 65.

Occorrerà attentamente monitorare la corretta attuazione da parte dei Comuni anche di detto sistema, che prevede che le risorse siano attribuite anche agli enti non profit che gestiscono scuole dell’infanzia, sezioni primavera, asili nido. Si deve tener conto che il D.lgs. 13/4/2017 n. 65 è fonte di contributi che si aggiunge e non si sostituisce a quella ordinaria che deriva dalle norme sulla parità, dalle norme regionali e dalle convenzioni sui contributi alle scuole dell’infanzia paritarie. Le finalità sono diverse. La prima mira a potenziare il sistema integrato educativo 0-6 anni, intervenendo in ambito socioeducativo; la seconda mira a rendere effettiva la parità, intervenendo nell’ambito dell’istruzione.

Avv. Alberto V. Fedeli

 

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